Isola di Lesbo
Come scrive il Dr. Pietro Bartolo, medico a Lampedusa, “Salvare vite non può essere un reato”.
Ma, a volte, ci sentiamo impotenti di fronte alla vita stessa, alla vita assurda dei campi profughi.
I nostri medici, da anni impegnati con progetti a favore dei rifugiati, hanno cercato di creare una relazione con i campi di rifugiati di Lesbo, in particolare a Moria e a Kara Tepe. Il nostro supporto si è concentrato su un progetto basato su terapia occupazionale, educazione e sport ideato da Eric e Philippa Kempson, due inglesi che vivono a Lesbo da 20 anni.
Ecco il “report” di un nostro inviato, medico, a Moria.
“Sono partita per Lesbo con la mente limpida: volevo vedere di persona, libera da preconcetti, la situazione del campo gestito con fondi europei.
Non è possibile entrare a Moria se non hai un pass e un accompagnatore ufficiale e, per me, medico di strada di una piccola onlus, sarebbe stato impossibile.
Ma Eric Kempson, attivista dei diritti dei rifugiati a Lesbo, mi ha affidato ad un suo collaboratore del sud Sudan che, avendo dei parenti ospiti del campo, è riuscito a farmi penetrare all’interno attraverso un buco nella rete di recinzione.
Un’emozione fortissima: bimbi che mi stringono le mani e donne che mi accompagnano alla loro tenda, felici di vedere che mi interesso a loro, anche solo con il sorriso, unica arma che ho per dare loro qualcosa in un mondo fatto di niente. A Moria vi è una percentuale altissima di bimbi che tentano di suicidarsi e alcuni, purtroppo, ci riescono. Questo, infatti, è un niente che annienta.
Il niente, qui, ha un colore: il grigio dei teloni di plastica sopra telai fatti di bastoni e tele sdrucite che dovrebbero costituire il tetto e le pareti di case inesistenti; il grigio dei visi dei bambini che non mangiano verdura fresca da mesi; il grigio delle coperte sopra i bancali che fungono da pavimento; il grigio dei capelli delle donne ancora giovani.
Alla fine mi accorgo che, sopra dei sassi che dovrebbero essere, anch’essi, grigi, vi è un arcobaleno dipinto. Sorrido. La bellezza esiste ancora, penso.
Ho lavorato in Rwanda durante il genocidio, in Siria, Kosovo e Congo durante la guerra, ad Haiti, in Nepal, ad Amatrice e L’Aquila durante i vari terremoti, ma… Qui è peggio, è assurdo, è immorale.
Perchè dico questo?
Perchè il campo di Moria, come i campi al confine tra Siria e Turchia e come molti altri luoghi simili, è il frutto di un’Europa che finanzia il niente.
Questo, senza preconcetti, con la mente limpida, è ciò che ho vissuto a Lesbo. Il niente. A Lesbo.
Una delle più belle isole che io abbia mai visto.
E, in assoluto, la più triste.”
Antonella Bertolotti, medico psichiatra, Intermed onlus.